Google AdWords e uso del marchio altrui

La continua evoluzione dei sistemi di promozione di prodotti e servizi su Internet pone nuovi problemi in relazione all’uso dei marchi e, in particolare, dei marchi altrui. Si pensi ai motori di ricerca. Esiste un sistema di pubblicità molto diffuso in cui i motori di ricerca come Google offrono la possibilità di creare link sponsorizzati dei prodotti e dei servizi al fine di mostrarli in posizione privilegiata allorchè venga effettuata una particolare ricerca. Così, ad esempio, se l’utente digita le parole “orologio uomo”, Google fornirà accanto ai risultati della ricerca anche alcuni annunci pubblicitari, per i quali l’inserzionista paga un corrispettivo.

In Google questo servizio di pubblicità si chiama AdWords e consente, mediante la scelta di parole chiave (keywords) di far apparire la propria inserzione come “link sponsorizzato” ogniqualvolta l’utente digita nella stringa di ricerca quella determinata parola chiave.

Dal punto di vista dei marchi, se le parole che interessano all’inserzionista sono di uso comune, non sorgono particolari problemi. Lo stesso vale se le keywords corrispondono al marchio o ad altri segni distintivi di titolarità dell’inserzionista (es. la sua ragione sociale).

Può accadere, tuttavia, che l’azienda abbia interesse ad usare il marchio di un terzo, perché, per esempio, ne rivende i prodotti, è un suo concessionario o un franchisee. O, magari, è un concorrente che desidera pubblicizzare un prodotto analogo e sostitutivo.
Ebbene in questi casi, è consentito al titolare del marchio di opporsi all’uso dello stesso come keyword da parte di un terzo non autorizzato?

La risposta non è univoca e dipende dal caso specifico. Per la giurisprudenza della Corte di Giustizia, l’uso del marchio altrui come keyword per servizi di posizionamento di Google può costituire violazione di marchio, e dunque contraffazione, nonché atto di concorrenza sleale.

In particolare, sussiste violazione quando l’annuncio non consente o consente solo difficilmente all’utente Internet “normalmente informato” e “ragionevolmente attento” di sapere se i prodotti o i servizi cui l’annuncio si riferisce provengano da un terzo o piuttosto dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo (Casi Google France v. Louis Vuitton, cause C-236/08 e C-238/08; Portakabin C-558/08, Interflora vs. Marks & Spencer, causa C-323-09). Il fatto che il marchio altrui non compaia nel testo pubblicitario dell’annuncio, non è un elemento di per sè idoneo ad escludere la contraffazione.
Per la giurisprudenza occorre verificare caso per caso il modo in cui l’annuncio è presentato e valutare per esempio, se l’annuncio appare subito dopo l’inserimento del marchio quale termine di ricerca, se l’annuncio e il marchio del terzo appaiano in contemporanea nella stessa pagina, così da creare confusione nell’utente; se l’annuncio sia talmente vago da non consentire all’utente di comprendere il ruolo dell’inserzionista rispetto a quello del titolare del marchio e, in particolare, se l’inserzionista sia o meno un partner commerciale del titolare del marchio (ad esempio un distributore autorizzato, un licenziatario, un franchisee, etc.).

Nel caso Interflora v. Marks & Spencer(C-323/09), la Corte di Giustizia con la decisione del 22 Settembre 2011 ha precisato che potrebbe sussistere una contraffazione del marchio Interflora qualora l’annuncio di M&S (che aveva usato tale marchio quale keyword per posizionare un annuncio di consegna di fiori a domicilio, senza riprodurre il marchio Interflora nel testo dell’annuncio) inducesse erroneamente gli utenti Internet a ritenere che il servizio di fiori a domicilio proposto da M&S sia effettivamente parte della rete commerciale di Interflora, dal momento che M&S non fa parte di tale rete.
Inoltre, secondo i giudici comunitari, quand’anche l’utente Internet fosse in grado di comprendere l’esatta origine dei prodotti e dei servizi pubblicizzati nell’annuncio, la violazione di marchio potrebbe comunque sussistere se l’uso da parte del terzo impedisse al legittimo titolare di acquisire o mantenere una reputazione idonea ad attirare i consumatori e a renderli fedeli.
Se poi il marchio, come nel caso Interflora, gode di notorietà, il titolare del marchio avrebbe diritto di vietare al concorrente di farsi pubblicità a partire da una keyword corrispondente a tale marchio qualora in questo modo il concorrente tragga indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio, oppure arrechi pregiudizio a detto carattere distintivo o notorietà.
Come si vede, dunque, sono molteplici i profili di possibile violazione che il giudice nazionale è tenuto a considerare allorchè debba trattare un caso di uso di marchio altrui come AdWords di Google o di un altro motore di ricerca.

Nel caso Interflora, la Corte di Giustizia ha demandato alla Corte inglese l’esame delle circostanza concrete di utilizzo del marchio nell’ambito dell’annuncio di Marks & Spencer. Il giudice britannico (High Court of Justice, England and Wales – decisione del 21 Maggio 2013) ha concluso per la sussistenza della violazione rilevando come l’annuncio di Marks & Spencer non consenta agli utenti Internet ragionevolmente ben informati e attenti di comprendere se la società faccia o meno parte del network autorizzato Interflora. L’annuncio, dunque, viola la funzione di indicazione di origine del marchio (“… the conclusion I have reached is that, as at 6 May 2008, the M & S advertisements which are the subject of Interflora’s claim did not enable reasonably well-informed and reasonably attentive internet users, or enabled them only with difficulty, to ascertain whether the service referred to in the advertisements originated from the proprietor of the Trade Marks, or an undertaking economically connected with it, or originated from a third party. On the contrary, as at 6 May 2008, a significant proportion of the consumers who searched for “interflora” and the other Signs, and then clicked on M & S’s advertisements displayed in response to those searches, were led to believe, incorrectly, that M & S’s flower delivery service was part of the Interflora network. Thus M & S’s use of the Signs had an adverse effect on the origin function of the Trade Marks. Furthermore, I conclude that this is still the case even now. It follows that M & S has infringed the Trade Marks under Article 5(1)(a) of the Directive and Article 9(1)(a) of the Regulation“). Per contro, il giudice non ha ritenuto che l’annuncio di Marks & Spencer potesse danneggiare la funzione di investimento del marchio di Interflora o consentisse a Marks & Spencer di trarre un indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio altrui.

Anche in Italia, i giudici hanno avuto modo di esaminare questioni simili e di ritenere illecito l’uso come keywords di marchi altrui sia nel caso in cui comparissero nel testo degli annunci (Trib. Milano 11 Marzo 2009, Trib. Milano 27 Settembre 2010, Trib. Milano 10 Ottobre 2010, Trib. Milano 23 Novembre 2012) sia nel caso in cui non comparissero (Trib. Bologna 24 Maggio 2011). Per Trib. Milano 23 Aprile 2013L’uso, non consentito dal titolare, di una parola corrispondente al marchio altrui per aprire un link sponsorizzato, costituisce un illecito contraffatorio ai sensi dell’art. 21, secondo comma c.p.i., in quanto utilizzato con funzione distintiva di servizi e in modo da ingenerare un rischio di confusione sul mercato circa la provenienza dei servizi“. Il caso sottoposto al giudice milanese è piuttosto interessante: la società resistente si era infatti difesa sostenendo che fosse Google, attraverso una fuzione denominata di “corrispondenza estesa”, ad operare automaticamente il collegamento tra il marchio altrui e i servizi identici pubblicizzati sui siti del ricorrente. Per il Tribunale, tuttavia, l’inserzionista era comunque obbligato a rispettare i diritti di privativa industriale e, per tale motivo, avrebbe dovuto usare la funzione del servizio di Google denominata di “corrispondenza inversa”, che impedisce la pubblicazione dell’annuncio in corrispondenza di termini non pertinenti al prodotto o servizio che si vuole offrire.Più recentemente, sempre il Tribunale di Milano, ha negato la sussistenza della contraffazione in un caso in cui il marchio altrui non compariva nel testo dell’annuncio, statuendo, secondo il principio già espresso dalla Corte di Giustizia, che l’uso di parole chiave per la pubblicità su Internet può favorire la concorrenza , proponendo agli utenti prodotti alternativi rispetto a quelli dei titolari dei marchi.

In conclusione, come comportarsi in caso di utilizzazione senza consenso del proprio marchio da parte di terzi? Verificata la sussistenza nel caso specifico della violazione di una o più delle funzioni del marchio, può essere utile inviare una diffida al terzo intimandogli la cessazione del comportamento illecito. Nella nostra esperienza, l’invio di una diffida stragiudiziale induce spesso il concorrente a cessare spontaneamente l’utilizzazione del marchio. Nel frattempo, è possibile inviare un reclamo attraverso i servizi di segnalazione che i motori di ricerca mettono a disposizione degli utenti. Google, ad esempio, offre un servizio che prevede la compilazione e l’invio di un modulo di reclamo (si veda la guida di Google per i proprietari dei marchi ). Qualora queste iniziative di autotutela non raggiungessero gli effetti desiderati, occorrerà necessariamente rivolgersi all’autorità giudiziaria.

Per informazioni o per richiedere una consulenza su questo tema, puoi contattarci o scrivere a info@studioscarpellini.it.

 

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Studio Scarpellini Naj-Oleari & Associati

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