La revocatoria fallimentare in campo editoriale: il caso delle rese

Il Tribunale di La Spezia ha respinto un’azione revocatoria fallimentare, ex art. 67, comma 1, L. fall., avente ad oggetto le rese di prodotti editoriali effettuate da una catena di librerie all’editore nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento.

Come è noto, l’azione revocatoria fallimentare di cui all’art. 67 della L.F. si iscrive nella categoria giuridica dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale. Con l’esercizio di tale azione, il curatore mira a ricostituire il patrimonio del fallito, richiamando i beni che ne sono usciti in un determinato periodo di tempo, al fine di ripristinare la par condicio creditorum nella liquidazione e riparto dell’attivo patrimoniale. Il fine è quello di eliminare un ingiusto vantaggio di alcuni creditori in danno della massa, sul presupposto che, diversamente, si verrebbe a creare una disparità di trattamento in danno dei creditori che non sono stati ancora soddisfatti. L’accoglimento della revocatoria, infatti, provoca la retrocessione alla curatela fallimentare del bene oggetto dell’azione, allo scopo di procedere alla liquidazione concorsuale tra i creditori del fallimento.
La sua funzione, pertanto, è sia ripristinatoria del patrimonio del debitore fallito sulla base di un effettivo e concreto pregiudizio dei creditori, sia redistributiva della perdita da insolvenza fra tutti i creditori per la lesione della par condicio tra gli stessi.

Per quanto rileva, la revocatoria fallimentare può avere ad oggetto sia i pagamenti dei debiti aziendali liquidi ed esigibili, sia gli atti che li estinguono, ma il suo regime è diverso nell’uno e nell’altro caso.

Con l’azione ex art. 67, comma 2, L.F. vengono revocati i pagamenti dei debiti liquidi ed esigibili effettuati nei 6 mesi precedenti il fallimento, se il curatore dimostra che il creditore, al momento del pagamento, era a conoscenza dello stato d’insolvenza del proprio debitore. Con l’azione ex art. 67, comma 1, L.F. vengono invece revocati gli atti estintivi di debiti liquidi ed esigibili effettuati nei 12 mesi precedenti il fallimento, se il creditore non dimostra che non conosceva lo stato d’insolvenza del proprio debitore.
Il diverso regime è giustificato dall’anomalia che la legge intravede in un pagamento eseguito con mezzi diversi dal denaro. Tipico è proprio il caso della restituzione della merce in luogo del denaro (in gergo datio in solutum): il creditore che accetta la merce da egli stesso fornita al posto del denaro si presume che sia consapevole della incapacità del debitore di far fronte alla propria obbligazione pecuniaria.

Venendo ora al caso in esame, il curatore del fallimento di un imprenditore librario aveva chiesto al Giudice di essere autorizzato a promuovere azione revocatoria nei confronti di un’azienda editoriale ai sensi di entrambi i commi dell’art. 67 L.F.: per i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti nei 6 mesi precedenti il fallimento e per le rese eseguite nei 12 mesi anteriori al fallimento, prospettando quindi tali rese come una datio in solutum.
Il Giudice aveva però autorizzato il curatore a promuovere l’azione sulla sola base del secondo comma.

L’editore, assistito da Scarpellini Naj-Oleari & Associati, ha contestato la pretesa del fallimento.
In primo luogo per la mancanza di autorizzazione da parte del giudice delegato per l’azione ex art. 67, comma 1, L.F. Secondariamente, sostenendo che il contratto di fornitura di prodotti editoriali non può qualificarsi come un mero contratto di compravendita, dal momento che esso ha per oggetto forniture periodiche di prodotti, per quantitativi stimati in relazione al fabbisogno del rivenditore e con diritto di resa. Tale diritto è un elemento tipizzante di tutti i rapporti di fornitura libraria, ed è giustificato da specifiche motivazioni.
L’elevata quantità di libri presenti sul mercato e il ritmo di uscita delle novità editoriali, oltre ad influire sulla deperibilità del prodotto in termini di perdita di attrattiva, impediscono al rivenditore una scelta ragionata sull’assortimento da proporre alla clientela.
Ciascuna azienda editoriale, poi, ha interesse ad assicurarsi presso il rivenditore il più vasto assortimento possibile del proprio catalogo e, quindi, a fornire i maggiori quantitativi possibili del propri prodotti. Per contro, il libraio non ha la capacità finanziaria per far fronte a simili acquisti.

Il diritto di resa, alla luce di ciò, riesce a contemperare le une e le altre esigenze, fornendo all’editore e al rivenditore la possibilità di offrire alla clientela la più vasta opzione di scelta, con un’elevata rotazione, senza addossare sul libraio l’onere economico dell’acquisto di quantitativi sovrastimati, parte dei quali fisiologicamente destinati alla resa.

In esito al giudizio, il Tribunale ha aderito all’eccezione di mancanza di autorizzazione da parte del giudice delegato. Ciò che rileva, però, è che in tale contesto il Tribunale abbia affermato che l’autorizzazione concessa al curatore fallimentare per agire in revocatoria sulla base del solo art. 67 comma 2 sottendeva evidentemente un’implicita valutazione d’inopportunità dell’azione revocatoria sulle rese per come richiesta dal curatore. “Né tale valutazione del giudice delegato” osservava il Tribunale “può essere considerata un mero refuso o una mera dimenticanza: non può affatto escludersi, ed appare anzi verosimile che il giudice delegato abbia valutato che nell’ambito del particolare rapporto di forniture librarie il diritto di reso dell’invenduto costituisce un aspetto tipico della fattispecie espressamente previsto dalle parti sin dalla fase iniziale del rapporto commerciale, e non possa quindi individuarsi pagamento effettuato con mezzi anormali ”.

Il Tribunale ha condiviso l’impostazione difensiva dell’azienda editoriale, dando atto delle particolarità che caratterizzano la fornitura di prodotti editoriali, verificando che il diritto di resa era stato previsto fin dall’origine, all’atto della stipulazione del contratto di fornitura, e così ammettendo che la resa, in questo particolare contratto di compravendita, non è da considerarsi datio in solutum. L’azione revocatoria è stata dunque respinta.

 

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