Con una recentissima sentenza del 4 giugno 2013 in tema di fidejussione omnibus, il Tribunale di Milano ha considerato contrario al dovere di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto di fideiussione (di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ.), il comportamento dell’Istituto di credito garantito che, in presenza di protesti e di un progressivo peggioramento dell’esposizione debitoria del conto corrente relativi al proprio debitore, abbia proseguito a concedere credito a quest’ultimo senza coinvolgere il fidejussore, ed ha liberato il fidejussore dall’obbligo di garanzia per violazione dell’art. 1956 cod. civ.
In base all’articolo 1956 cod. civ. “Il fideiussore per una obbligazione futura [c.d. fidejussione omnibus, ndr] è liberato se il creditore, senza speciale autorizzazione del fideiussore, ha fatto credito al terzo, pur conoscendo che le condizioni patrimoniali di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito”.
Il Tribunale ha quindi ritenuto indubbia la conoscenza da parte della Banca del progressivo peggioramento dello stato di indebitamento della società poi fallita, gravando sull’istituto di credito – in quanto operatore professionale di attività creditizia – una presunzione di conoscenza sulla esistenza dei protesti.
Quanto affermato dal Tribunale di Milano con riferimento all’art. 1956 c.c., trova ulteriore conferma nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo la quale il creditore garantito da fideiussione non è certo esonerato dal dovere – stabilito in via generale dagli artt. 1175 e 1375 c.c.- di comportarsi con correttezza e di eseguire il contratto secondo buona fede. Conseguentemente, il creditore, a maggior ragione quando si tratta di una banca, non può effettuare nuove concessioni di credito, tralasciando ogni più elementare regola di prudenza ed omettendo quei controlli e quelle cautele che, in materia di esercizio dell’attività creditizia, sono richiesti al fine di ridurre il rischio dell’insolvenza del debitore. (Cass. 5 Giugno 2003 n. 8995).
Con specifico riferimento ai rapporti di apertura di credito in conto corrente, quando si manifesta un significativo peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore rispetto a quelle conosciute al momento dell’apertura del rapporto e tali da mettere a repentaglio la solvibilità del debitore medesimo, la banca creditrice – in conformità ai doveri di correttezza e buona fede che gravano sulla stessa, e che si concretizzano in un dovere di solidarietà e salvaguardia dell’altro contraente – laddove disponga di strumenti di autotutela che le consentano di porre termine al rapporto impedendo ulteriori atti di utilizzazione del credito che aggraverebbero l’esposizione debitoria, è tenuta ad avvalersene, se non vuol perdere il beneficio della garanzia (Cass. 22 Ottobre 2010 n. 21730; Cass. 6 Dicembre 1994 n. 10448. Cfr. anche Cass. 28 Marzo 1994 n. 3003 in materia di buona fede).
La circostanza che lo scoperto di conto corrente non abbia superato il limite degli affidamenti concessi, come la giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito, non ha conseguenza alcuna in ordine agli obblighi e ai doveri di diligenza e correttezza sempre imposti alla Banca dall’art. 1956 c.c che rimangono immutati (Cass. 14 Giugno 1999 n. 5872).
La decisione del Tribunale di Milano rileva anche sotto altro profilo, vale a dire per avere ritenuto che la presunzione opposta dalla Banca, che la conoscenza della situazione patrimoniale del debitore fosse conosciuta o comunque conoscibile da parte del fidejussore, in quanto socio accomandante e procuratore della società poi fallita, si rivelasse inidonea a dimostrare alcunché: “[…] proprio la qualifica dell’opponente di socia accomandante, nega la sua possibilità di intervenire nella gestione delle attività sociali, come del pari non le consente, di diritto, di poter accedere alle scritture ed ai documenti contabili, precludendole la possibilità di verificare l’andamento della società da ella garantita”. Né la Banca è stata in grado di allegare alcuna operazione, affare, o atto eseguiti dal fidejussore nella sua veste di procuratore della società e, quindi, di dimostrare la pretesa conoscenza privilegiata da parte di quest’ultimo di tutto ciò che riguardava l’andamento gestionale e patrimoniale della società poi fallita. La decisione in commento, peraltro, non è affatto isolata.
Sempre in tema di fidejussione bancaria omnibus il Tribunale di Milano, con una sentenza pubblicata il 25 ottobre 2012, ha accolto le contestazioni e le domande formulate dal garante (assistito da Scarpellini Naj-Oleari & Associati), statuendo nuovamente la liberazione del fidejussore ai sensi dell’art. 1956 cod. civ. Anche in tale fattispecie il Tribunale ha ritenuto che la qualità di socio accomandante rivestita dal garante ed eccepita dall’Istituto di credito fosse inidonea a dimostrare la conoscenza, da parte del fidejussore, delle condizioni patrimoniali del debitore principale. E anche in questo caso, il decreto ingiutivo ottenuto dalle Banche è stato revocato.